Immobile non accatastato - Nullità del preliminare di vendita - Alla data fissata per la stipula del rogito notarile non era possibile trasferire dal promittente venditore al promissario acquirente la proprietà dell'immobile, in quanto questo non risultava accatastato ed era privo di concessione edilizia e di licenza di abitabilità

Cassazione Sezione II civile Sentenza 4 dicembre 2006, n. 25703

  SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 Con citazione notificata il 17 gennaio 1987, C.S. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Nicosia C.F., per chiedere che fosse dichiarato il suo diritto di recesso dal contratto preliminare stipulato con il convenuto il 4 settembre 1985 ed avente ad oggetto l'acquisto di una casa in Leonforte per il prezzo di lire 34.000.000, di cui aveva versato a titolo di caparra confirmatoria lire 14.000.000, deducendo che il promittente venditore si era reso inadempiente alle obbligazioni assunte, in quanto, convocato per il 10 ottobre 1986 davanti al notaio per la stipula dell'atto definitivo, si era presentato "privo di documenti di legittimazione, nonché della concessione in sanatoria e del certificato di abitabilità dell'immobile"; chiedeva, quindi, la condanna del convenuto al pagamento del doppio della caparra o, in subordine, la declaratoria di risoluzione del contratto e la restituzione della caparra versata, oltre al risarcimento dei danni, con interessi e rivalutazione.

Si costituiva C.S., deducendo, a sua volta, l'inadempimento dell'attore, per avere richiesto un differimento dell'acquisto per mancata disponibilità economica, mentre egli aveva rispettato gli impegni assunti con il preliminare, richiedendo l'autorizzazione a vendere per i figli minori ed avendo presentato l'istanza per l'accatastamento dell'immobile e per il rilascio della concessione in sanatoria.

Proponeva, pertanto, domanda riconvenzionale per ottenere pronuncia di trasferimento dell'immobile all'attore ex art. 2932 c.c. e condanna dello stesso al pagamento del residuo prezzo di lire 20.000.000 o, in subordine, declaratoria di risoluzione del preliminare per suo inadempimento, con conseguente condanna di lui al pagamento della somma di lire 14.000.000 a titolo di risarcimento del danno o autorizzazione a trattenere la caparra.

Istruita la causa con prove testimoniali e produzione documentale, l'adito tribunale, con sentenza dell'8 aprile-8 maggio 1997, rigettava la domanda principale e, in accoglimento di quella riconvenzionale, trasferiva la proprietà dell'immobile all'attore, che condannava al pagamento del residuo prezzo di lire 20.000.000, oltre gli interessi legali e spese processuali.

Proposto appello del C. ed appello incidentale del C., ed intervenuti in giudizio C.G., B., A., C., M., P. e T., comproprietari dell'immobile in questione, per aderire a tutte le domande proposte da C.F., la Corte d'appello di Caltanissetta, con sentenza del 21 maggio 2002, in riforma di quella impugnata ed in accoglimento della domanda proposta da C.S., ha dichiarato lo scioglimento del contratto preliminare di compravendita del 4 settembre 1985 ed ha condannato C.F. al pagamento della somma di lire 28.000.000 (euro 14.460,00), oltre interessi dalla domanda al soddisfo, compensando interamente tra le parti le spese processuali di primo e secondo grado, nonché quelle di appello nei rapporti tra C.S. e le parti intervenute.

Questa che segue, in sintesi, la motivazione della decisione.

Va accolta, secondo la Corte, la domanda di recesso dal contratto preliminare proposta dall'attore C.S., promissorio acquirente, in quanto alla data stabilita per il rogito (10 ottobre 1986) il promittente venditore C.F. si presentò senza avere provveduto all'accatastamento dell'immobile e senza essere in possesso della concessione in sanatoria e del certificato di abitabilità, in quanto non era stato ancora definito l'iter amministrativo del relativo rilascio, rendendosi così inadempiente alle obbligazioni assunte; non senza considerare che non risulta che egli fosse legittimato a vendere per conto degli altri comproprietari.

Deve essere disattesa, inoltre, l'eccezione sollevata dal C., secondo cui il promissorio acquirente avrebbe chiesto un rinvio per la stipula dell'atto, rendendosi in tal modo inadempiente all'obbligazione assunta con il preliminare, in quanto, stante l'inadempienza di esso promittente venditore, l'altro contraente ben poteva rifiutarsi di adempire alle sue obbligazioni ai sensi dell'art. 1460 c.c.

Sta di fatto, comunque, che mediante l'invio al C. della diffida ad adempiere, il C. ha dimostrato di avere interesse alla stipula dell'atto di compravendita.

Ricorrono per la cassazione della sentenza C.F., G., A., C., M., P., T. e B., in forza di sei motivi.

Resiste con controricorso C.S., che propone anche ricorso incidentale per un unico motivo.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va esaminato preliminarmente il ricorso incidentale con cui C.S. ha denunciato "violazione o erronea applicazione dell'art. 102 c.p.c. difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.)", in relazione all'omessa pronuncia, da parte della Corte, sull'eccezione di "disintegrità" del contraddittorio da lui sollevata con l'appello, con riferimento alla mancata partecipazione al giudizio di primo grado dei figli del C., comproprietari della casa trasferita ad esso C. dal Tribunale, con la sentenza, poi gravata di appello, emessa ai sensi dell'art. 2932 c.c., che, pertanto, sarebbe nulla.

L'eccezione sulla quale la Corte effettivamente non si è pronunciata, avendo dichiarato assorbito l'appello incidentale in conseguenza dell'accoglimento di quello principale del C., e da questo riproposta ora con il ricorso incidentale, è infondata.

Risulta dalla sentenza impugnata, che nel giudizio di appello si sono costituiti, oltre all'appellato C.F., convenuto in primo grado, anche "i comproprietari dell'immobile" - tali sono stati qualificati sic et simpliciter dalla Corte i soggetti che non hanno partecipato al giudizio di primo grado - dichiarando espressamente di "accettare la causa nello stato e nel grado in cui si trova, aderendo a tutte le domande proposte dall'appellato"; e, tra queste, la domanda principale, proposta in via riconvenzionale dall'allora convenuto C.F. e accolta dal Tribunale, era di "emettere pronuncia di trasferimento dell'immobile all'attore (C.S.) ex art. 2932 c.c.".

Si osserva, preliminarmente, che la titolarità di diritto di comproprietà dell'immobile in capo a soggetti rimasti estranei al giudizio di primo grado, è stata semplicemente ed incidentalmente affermata dalla Corte, che non si è pronunciata in ordine all'effettiva sussistenza di tale asserito diritto, non essendo stata sollevata alcuna questione in merito; ne deriva, pertanto, che è vano proporre, in questa sede, una questione che, basata su una mera affermazione della Corte, non è stata mai dedotta e la cui soluzione, avuto riguardo all'esito del giudizio di appello, priva, comunque, l'odierno resistente dell'interesse a sollevarla.

Ad ogni buon conto, l'adesione prestata dai "comproprietari dell'immobile" - tali essendo, si ripete, per mera affermazione fatta dalla Corte - alla domanda di trasferimento dell'immobile medesimo al promissorio acquirente, in esecuzione del contratto preliminare stipulato da C.F. e dal C., avrebbe sanato, comunque, il vizio relativo alla mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di primo grado, per cui nessuna delle parti può più dolersi della violazione del principio di cui agli artt. 101, 102 c.p.c.

Il ricorso incidentale va, pertanto, rigettato.

Con il ricorso principale i ricorrenti denunciano:

1) violazione e falsa applicazione dell'art. 40 l. 47/1985 - omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), per avere affermato erroneamente, la Corte, che il mancato accatastamento, l'assenza di concessione edilizia e soprattutto la mancanza della licenza di abitabilità costituiscono fatti impeditivi alla stipula del contratto di compravendita; mentre la norma sopra rubricata consente la stipula del rogito notarile sol che sia allegata copia della domanda di concessione in sanatoria e della ricevuta di versamento delle prime due rate dell'oblazione, nella specie interamente versata.

2) Contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.), per avere lasciato intendere, la Corte "che la mancata stipula del contratto è dipesa, non tanto dalla circostanza che questa fosse giuridicamente impossibile (come precedentemente affermato), quanto da una scelta propria del promissario acquirente C.".

3) Violazione o erronea applicazione degli artt. 1477, 1453, 1218 c.c. - Difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.), per non avere considerato, la Corte, che "il C., atteso il tenore letterale del preliminare, era consapevole che si obbligava ad acquistare anche il secondo piano per il quale non erano stati rilasciati né la concessione in sanatoria né il certificato di abitabilità"; e che, comunque, "il ricorrente aveva fatto tutto quanto era nelle sue possibilità fare per l'accatastamento dell'immobile, per il rilascio della concessione edilizia e del certificato di abitabilità", per cui in nessun modo poteva essere ritenuto inadempiente. Mentre, al contrario, il rifiuto di C. di stipulare l'atto di appalesa ingiustificato ed in mala fede, tenuto conto dei noti ritardi burocratici della Pubblica Amministrazione nel rilascio dei predetti certificati.

4) Violazione o erronea applicazione degli artt. 1477, 1453, 1455 c.c. - Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) per avere ritenuto ed affermato, la Corte, che la mancata consegna, al momento della convocazione davanti al notaio, della licenza di abitabilità implichi inadempimento e conseguente risoluzione del contratto, mentre, stando alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, così non è, dovendosi escludere, in casi del genere, la gravità dell'inadempimento.

5) Violazione e falsa applicazione dell'art. 1460 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per non avere considerato, la Corte, che il rifiuto di C. di addivenire al contratto definitivo si sarebbe dovuto valutare come comportamento chiaramente contrario a buona fede.

6) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.). Con quest'ultimo motivo, i ricorrenti criticano la Corte per avere "stravolto l'assetto di interessi che le parti avevano così puntualmente regolamentato, intendendo in un'accezione ingiustificatamente riduttiva quanto le stesse avevano concordato circa le obbligazioni accessorie a carico del venditore"; per non avere tenuto conto, in particolare, del complessivo contenuto del contratto, dal quale risulta chiaramente che il promissario acquirente intese conseguire immediatamente il godimento dell'immobile, pur essendo perfettamente a conoscenza che lo stesso non era assistito né da concessione edilizia, né da certificato di abitabilità e non di meno si impegnò a stipulare a data certa il definitivo".

Il primo motivo è infondato.

La Corte d'appello ha accertato che alla data fissata per la stipula del rogito notarile non era possibile trasferire dal promittente venditore al promissario acquirente la proprietà dell'immobile, in quanto questo non risultava accatastato ed era privo di concessione edilizia e di licenza di abitabilità, e che, perciò, il primo si era reso inadempiente alle obbligazioni assunte con il preliminare stipulato il 4 settembre 1985.

È vana, pertanto, la contestazione che gli odierni ricorrenti muovono alla statuizione della Corte, deducendo che per la stipula dell'atto era sufficiente allegare la copia della domanda di concessione in sanatoria e la ricevuta di versamento delle prime due rate dell'oblazione, atteso che, come si è appena ricordato, la Corte ha indicato, quali fatti impeditivi del trasferimento della proprietà dell'immobile, anche il suo mancato accatastamento e la mancanza di certificato di abitabilità; non senza rilevare che il C. si era impegnato a provvedere, tra l'altro, a sue spese al disbrigo della pratica di accatastamento ed al rilascio del certificato di abitabilità.

La censura di cui al secondo motivo è inammissibile, avendo, da un lato, la Corte chiaramente spiegato le ragioni della sua decisione e non riscontrandosi, dall'altro, alcuna contraddittorietà nella motivazione posta a base della stessa.

Anche il terzo motivo è inammissibile, poiché, non avendo i ricorrenti trascritto il contenuto del contratto preliminare stipulato dalle parti, non è possibile verificare se dal "tenore letterale di questo" è dato ricavare, come si assume nel ricorso, che "C. era consapevole di acquistare anche il secondo piano per il quale non erano stati rilasciati né la concessione in sanatoria né il certificato di abitabilità"; e "quindi logicamente dedurre che egli aveva accettato di acquistare anche in momentanea assenza del certificato di abitabilità".

Non ha alcun pregio, inoltre, la censura formulata con lo stesso motivo e per la prima volta in questa sede, secondo cui "è illogica l'affermazione di inadempienza del ricorrente per il fatto che egli, al momento della convocazione avanti al notaio, non avesse il certificato che l'autorità amministrativa non aveva ancora provveduto a rilasciargli", posto che "aveva fatto tutto quanto era nelle sue possibilità fare per l'accatastamento dell'immobile e per il rilascio della concessione in sanatoria e del certificato di abitabilità".

Tutto ciò non è stato dedotto, a quanto pare, in sede di merito e non può essere, all'evidenza, preso in considerazione in questa sede.

Il quarto motivo è inammissibile, non risultando che la censura in esso contenuta (la Corte non ha verificato la gravità dell'inadempimento), e relativa, comunque, solo alla mancanza del certificato di abitabilità, sia stata formulata con l'appello.

Il quinto motivo è infondato, non ravvisandosi, nella pronuncia della Corte sull'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. sollevata dall'appellato, alcuna violazione di legge.

È inammissibile, infine, la censura di cui al sesto motivo, incentrata sull'interpretazione delle clausole e pattuizioni contenute nel contratto preliminare, di cui si ignora il contenuto.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Il rigetto di entrambi i ricorsi giustifica la compensazione delle spese di questo grado.

 P.Q.M.

 La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

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