Corte di Cassazione con la sentenza n. 23756 del 22 novembre 2016:distacco dall'impianto centralizzato. Il condomino continua a pagare le spese del carburante se manca la prova che il passaggio all'impianto autonomo non ha creato squilibri nel servizio per gli altri appartamenti e l'omissione risulta imputabile al proprietario esclusivo che ha voluto diventare termoautonomo: prima di realizzare l'intervento, infatti, ben avrebbe potuto commissionare una relazione tecnica che fotografasse la situazione esistente, in modo da precostituirsi una prova da spendere nel giudizio contro gli altri condomini”. (In tal senso Cass. n. 5974/2004 Cass. n. 6923/2001 Cass. n. 1775/98; Cass. n. 1597/95; Cass.n. 4653/90).
Cassazione sentenza 862/2015: il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento deve essere deliberato all'unanimità. Infatti l'art. 4, comma 9, del DPR 59/2009 ribadisce che la trasformazione dell'impianto centralizzato condominiale in impianti singoli per ogni unità immobiliare, nei condomini con un numero di unità immobiliari superiore a 4 è permessa solo in presenza di cause tecniche o di forza maggiore, oppure con decisione assunta all'unanimità dei proprietari.
Distacco dal riscaldamento condominiale Cass.,
sez II, 30/03/2006 n. 7518
Il condomino può rinunciare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare
le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza
necessità di autorizzazione o approvazione degli altri condomini e, fermo il suo
obbligo al pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto, è tenuto a
partecipare a quelle di gestione dell’impianto se, e nei limiti in cui, il suo
distacco non si risolva in una diminuzione degli oneri del servizio di cui
continuano a godere gli altri condomini.
Inoltre, pur in presenza di tali condizioni, la delibera assembleare che
respinga la richiesta di autorizzazione al distacco è nulla per violazione del
diritto individuale del condomino sulla cosa comune.
Validità della delibera approvata ai sensi dell'art. 26 della legge 10/1991
anche in mancanza del progetto dell'opera
Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2006, n. 10871
E' legittima delibera condominiale che dispone la soppressione dell'impianto
centralizzato di riscaldamento, ai sensi dell'art. 26, comma 2, legge 10 del 9
gennaio 1991, nel caso in cui l'assemblea, dopo aver manifestato la volontà di
modificare l'impianto centralizzato senza approvare il progetto accompagnato
dalla relazione tecnica prevista dall'art. 28 della legge 10/1991, abbia
successivamente proceduto alla relativa fase esecutiva nel rispetto della citata
legge, deliberando la trasformazione dell'impianto secondo un progetto tecnico
che aveva previsto l’installazione di canne fumarie singole e collettive con un
risparmio energetico del 25% circa del consumo di combustibile globalmente
necessario all'impianto centralizzato.
La delibera condominiale di trasformazione
dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas, ai
sensi dell'art. 26, comma 2, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, in relazione
all'art. 8. comma 1, lett. g) della stessa legge, assunta a maggioranza delle
quote millesimali è valida anche se non accompagnata dal progetto di opere
corredato dalla relazione tecnica di conformità di cui all'art. 28. comma primo
della legge stessa, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione
della delibera.
*Cass. civ., sez. II, 1luglio 1997, n. 5843,
Art. 26. Progettazione, messa in opera ed esercizio
di edifici e di impianti.
1. Ai nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle
fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all'uso
razionale dell'energia, si applicano le disposizioni di cui all'art. 9 della
legge 28 gennaio 1977, n. 10, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela
artistico-storica e ambientale. Gli interventi di utilizzo delle fonti di
energia di cui all'art. 1 in edifici ed impianti industriali non sono soggetti
ad autorizzazione specifica e sono assimilati a tutti gli effetti alla
manutenzione straordinaria di cui agli articoli 31 e 48 della legge 5 agosto
1978, n. 457. L'installazione di impianti solari e di pompe di calore da parte
di installatori qualificati, destinati unicamente alla produzione di acqua calda
e di aria negli edifici esistenti e negli spazi liberi privati annessi, e'
considerata estensione dell'impianto idrico-sanitario già in opera.
2. Per gli interventi in parti comuni di edifici, volti al contenimento del consumo energetico degli edifici stessi ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'art. 1, ivi compresi quelli di cui all'art. 8, sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali.
3. Gli edifici pubblici e privati, qualunque ne sia la destinazione d'uso, e gli impianti non di processo ad essi associati devono essere progettati e messi in opera in modo tale da contenere al massimo, in relazione al progresso della tecnica, i consumi di energia termica ed elettrica.
4. Ai fini di cui al comma 3 e secondo quanto previsto dal comma 1 dell'art. 4, sono regolate, con riguardo ai momenti della progettazione, della messa in opera e dell'esercizio, le caratteristiche energetiche degli edifici e degli impianti non di processo ad essi associati, nonché dei componenti degli edifici e degli impianti.
5. Per le innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l'assemblea di condominio decide a maggioranza, in deroga agli articoli 1120 e 1136 del codice civile.
6. Gli impianti di riscaldamento al servizio di edifici di nuova costruzione, la cui concessione edilizia sia rilasciata dopo la data di entrata in vigore della presente legge, devono essere progettati e realizzati in modo tale da consentire l'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore per ogni singola unità immobiliare.
7. Negli edifici di proprietà pubblica o adibiti ad uso pubblico è fatto obbligo di soddisfare il fabbisogno energetico degli stessi favorendo il ricorso a fonti rinnovabili di energia o assimilate salvo impedimenti di natura tecnica od economica.
8. La progettazione di nuovi edifici pubblici deve prevedere la realizzazione di ogni impianto, opera ed installazione utili alla conservazione, al risparmio e all'uso razionale dell'energia. CFR
Maggioranze condominiali e risparmio energetico: cambia la legge
Con il decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 311
Il decreto legislativo che ha modificato il codice dell’energia ha anche “ritoccato” la legge n. 10/91 e, in particolare il comma 2 dell’articolo 26. Queste le novità:
a) Si fa riferimento più genericamente all’articolo 1 (e non più all’articolo 8 che dà un elenco di interventi);
b) Si parla di interventi “individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica”. Ora, la certificazione energetica si dà a intervento concluso. La definizione “diagnosi energetica” è diversa. Il. Dlgs n. 192/2005 (codice dell’energia), la vede come uno studio che fotografia dello stato di fatto e suggerisce gli interventi atti ad ottenere un maggiore risparmio. Pertanto la diagnosi energetica si fa prima dell’intervento. Quindi “attestato di certificazione energetica o diagnosi energetica” significa che gli interventi con le maggioranze ridotte possono essere individuati prima di eseguirli, oppure accertati in seguito, dopo averli eseguiti, indifferentemente. Interessanti le conseguenze se si ricorre alla certificazione energetica “a posteriori”. Ci si può chiedere: se la certificazione non si riesce ad ottenere, le relative decisioni assunte a maggioranza semplificata sono impugnabili in giudizio, anche se è trascorso più di un mese da quando sono state assunte? Oppure il termine di 30 giorni per l’impugnazione decorre da quando si è avuto notizia che la certificazione energetica non si riesce a conseguire? Dubbi potrebbero sorgere anche nel caso in cui la diagnosi energetica ci sia, ma poi le opere non riescano a conseguire la certificazione.
c) Si chiarisce che le decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali (501 millesimi). Ciò riconferma l’orientamento giurisprudenziale consolidato.